Esiste una differenza qualitativa fra prodotto ortofrutticolo convenzionale e quello biologico o biodinamico?
Un'importante relazione, realizzata per l'Organic Center, un centro di ricerca sulla coltivazione biologica, da Brian Halweil del Worldwatch Institute e co-direttore dello think tank alimentare Nourishing the Planet sulla base di una mole rilevante di studi e dati, risponde proprio a questa domanda. Halweil confronta i dati relativi alla qualità degli alimenti da agricoltura convenzionale attuali con quella dei prodotti agricoli degli anni '40 e '50 e, inoltre, con quella degli alimenti biologici.
Più alta è la resa più bassa è la qualità

L'agricoltura convenzionale è riuscita a raddoppiare, se non triplicare la resa delle principali colture cerealicole e di frutta e verdura negli ultimi cinquant'anni. C'è riuscita, da un lato, coltivando più piante per ettaro; dall'altro, selezionando piante che avessero una parte commestibile più elevata e delle specie con una maggiore resa, ma senza tenere conto alcuno del valore nutrizionale delle specie selezionate.
Studi comparativi, consultati da Halweil, effettuati su grano, mais e broccoli hanno riscontrato che le varietà moderne ad alta resa possiedono concentrazioni di vitamine, sali minerali e antiossidanti decisamente inferiori a quelle delle varietà più antiche a minor resa.
Una selezione effettuata, negli ultimi 130 anni, con il solo fine di 'migliorare' le varietà di grano sempre privilegiando quelle a maggior resa ha avuto come risultato rese triplicate, ma con segno meno 28 per cento di ferro e meno 1/3 delle quantità di zinco e selenio. Tanto più è elevata la resa, quanto più basso è il contenuto di macro e micronutrienti. Il fenomeno è stato riscontrato anche per i pomodori: resa e concentrazione di vitamina C, livelli di licopene e beta-carotene sono inversamente proporzionali. Del resto il dato è intuibile: similmente, se un genitore deve dividere le proprie risorse fra 10 figli e un altro fra 2, i primi riceveranno meno risorse dei secondi.
"Studi governativi sia negli USA che in Gran Bretagna hanno evidenziato che, negli ultimi decenni, la concentrazione di microelementi nutritivi essenziali in una vasta gamma di alimenti comuni è diminuita con percentuali a doppia cifra per quanto riguarda il ferro, lo zinco, il calcio, il selenio ed altre sostanze preziose per la salute. In conseguenza di ciò, la stessa quantità di spinaci, patate, insalata o altro ci consegna ora meno ferro, zinco e calcio"*.
Inflazione nutritiva
"I successi dell'agricoltura industriale sono arrivati con un costo: può produrre moltissime più calorie per acro, ma ciascuna di queste calorie fornisce meno nutrimento di quanto non facessero in passato". Il processo appare simile a quello dell'inflazione in economia: c'è più denaro in circolazione, ma quel denaro ha meno potere d'acquisto. Dal punto di vista alimentare, abbiamo sì più cibo a disposizione, ma dagli alimenti otteniamo meno nutrimento per caloria consumata. Dobbiamo, ad esempio, mangiare tre mele per acquisire la quantità di ferro di una mela degli anni '40, o diverse fette di pane per acquisire la quantità di zinco che era presente nel pane cento anni fa.
Colture "Viziate"
Oltre alla resa, vi sono altri fattori all'origine del calo nutrizionale degli alimenti. I prodotti ortofrutticoli moderni, come un bambino cresciuto a fast food, sono coltivati su un terreno impoverito, alimentato com'è da tre soli macronutrienti principali - azoto, potassio e fosforo (NPK)- sul quale non è praticata la tradizionale rotazione dei raccolti per rimpinguarne gli elementi ceduti.
Per di più, la massiccia irrigazione d'acqua, pesticidi e fertilizzanti che caratterizza l'agricoltura convenzionale tende a "viziare" le piante, le quali crescono velocemente, ma senza radicare in profondità, non avendo bisogno di frugare nel terreno alla ricerca di acqua e nutrimento, il che comporta una scarsa assimilazione delle sostanze presenti. Le piante, inoltre, non dovendo difendersi dai parassiti e dalle malattie, crescono più fragili e producono meno polifenoli, micronutrienti protettivi per la pianta, preziosi per la salute umana. Più la pianta soffre, - entro certi limiti, ovviamente - per siccità, attacchi d'insetti, o altro, più, per difendersi, produrrà polifenoli. E', invero, scientificamente provato che, per ottenere ortofrutta più nutriente e massimizzarne il sapore e l'aroma un agricoltore deve limitare l'apporto d'acqua e fertilizzanti, anche quelli animali e organici usati dal biologico, per far sì che la pianta sviluppi un apparato radicale più robusto ed efficiente, uno stratagemma sfruttato, ad esempio, da alcuni viticoltori per ottenere vino particolarmente gustoso.
Lo stesso principio vale per l'allevamento animale: quello di cui si nutrono gli animali ha grande importanza per il prodotto agricolo finale, la sua qualità nutritiva, l'assenza d'inquinanti tossici e la squisitezza della carne, che saranno tanto maggiori quanto minore sarà l'apporto di antibiotici e ormoni della crescita, ossia di strumenti per massimizzare la resa. Che l'animale conduca una vita dignitosa e felice e quanto più possibile libera conta, per di più, moltissimo. Egli sarà, infatti, più robusto e avrà bisogno di minor cure e, soprattutto, di antibiotici, perché ora sappiamo quanto lo stress indebolisca il sistema immunitario animale, come quello umano.
Un altro fattore all'origine della diminuzione nutritiva del prodotto ortofrutticolo attuale sono i tempi lunghi di distribuzione che richiedono una raccolta precoce, quando solo il frutto pienamente maturo può raggiungere il massimo valore nutrizionale.
I grandi frutti lucidi, senza macchia e tutti uguali che ne risultano sono, quindi, progettati a tavolino e uniformati dalla chimica di sintesi, dalla produzione agricola industriale e dalla grande distribuzione per facilitarne la raccolta meccanica e l'imballaggio e attrarre ad arte il consumatore.
Il confronto con l'ortofrutticolo biologico
Tutte queste tecniche 'sbagliate' sono state eliminate dall'agricoltura biologica che il Rodale Institute definisce "un sistema agricolo che non usa chimica sintetica e che imita le modalità della natura. Tale metodo può includere realtà agricole di diverse dimensioni, pratiche e filosofie, ma unite da un denominatore comune: il rifiuto dell'uso dei prodotti chimici sintetici tossici".
L'agricoltura biologica è l'unico sistema di coltivazione sostenibile, perché non inquina l'ambiente e, lungi dall'impoverirlo, è "capace di mantenere o migliorare la fertilità del suolo indefinitamente".
Oltre ad essere 'buono' per l'ambiente, l'alimento biologico lo è per noi perché non porta con sé nei nostri piatti residui tossici di pesticidi e fitofarmaci vari, nonché batteri resistenti agli antibiotici (da un recente studio, invece, riscontrati negli alimenti convenzionali). Ma lo è anche dal punto di vista nutrizionale?
Secondo uno studio trentennale del Rodale Institute che ha coltivato fianco a fianco ortaggi ottenuti con metodi tradizionali e verdure coltivate con le tecniche biologiche, oltre a rilevare che la materia organica fertile presente nel terreno, anziché esaurirsi, era cresciuta del 30 per cento, ha riscontrato una superiorità nutrizionale del biologico sia dal punto di vista dei principali macronutrienti (N, P, K, Ca and Mg) – dal 6 al 27 per cento – che dei micronutrienti (Mn, Fe, Cu, B, Al, and Na) – dal 17 al 287 per cento. Tanti minerali in più, vitamine ed elementi fitochimici, come i già citati polifenoli.
Il colore in natura conta
Come riconoscere l'alimento biologico al di là delle certificazioni
"I successi dell'agricoltura industriale sono arrivati con un costo: può produrre moltissime più calorie per acro, ma ciascuna di queste calorie fornisce meno nutrimento di quanto non facessero in passato". Il processo appare simile a quello dell'inflazione in economia: c'è più denaro in circolazione, ma quel denaro ha meno potere d'acquisto. Dal punto di vista alimentare, abbiamo sì più cibo a disposizione, ma dagli alimenti otteniamo meno nutrimento per caloria consumata. Dobbiamo, ad esempio, mangiare tre mele per acquisire la quantità di ferro di una mela degli anni '40, o diverse fette di pane per acquisire la quantità di zinco che era presente nel pane cento anni fa.